Samet si oppone al divorzio, il giudice decide che.. grazie a delle prove. LA NOTTE NEL CUORE
Il freddo pungente del pomeriggio invernale della Cappadocia avvolge Sumru mentre esce dal suo negozio, eppure per la prima volta dopo anni sente un respiro di libertà che le brucia dentro. La sentenza del giudice è ancora un eco nella sua mente: è libera, finalmente libera, ma la legge ha un sapore dolce e terribile al tempo stesso, perché ogni conquista ha un prezzo. Non ha fatto che pochi passi che Samet, il suo ex marito, appare davanti a lei come un’ombra minacciosa, il volto contratto dalla furia contenuta, gli occhi scuri che le penetrano nell’anima. “Credi davvero che sia finita qui, Sibila? Credi che un giudice possa decidere quando e come tu puoi uscire dalla mia vita?” le urla, trasformando il freddo della Cappadocia in un gelo che le annebbia la ragione. Sumru si stringe nel cappotto, ma non è più il freddo a spaventarla, bensì l’oscurità di quell’uomo che ha cercato di possederla e controllarla per anni, la sua voce un ringhio che pretende obbedienza, che pretende che lei resti intrappolata nella gabbia dorata di una vita che non ha mai scelto.
Ma Sumru non è più disposta a pagare i debiti di un passato imposto. “Mi hai dato una gabbia dorata, mi hai umiliata, mi hai isolata, hai messo i miei figli contro di me. Questo non è amore, Samet, è possesso, e io non sono un oggetto. Ora voglio solo vivere la mia vita, forse con qualcuno che mi rispetti, forse con Tassin.” La menzione di Tassin accende una scintilla di follia nel cuore di Samet, la sua rabbia esplode oltre ogni limite, e con una violenza brutale afferra Sumru per un braccio cercando di trascinarla verso la sua auto, urlandole che tornerà a casa con lui e che metteranno fine a quella follia. Ma proprio in quell’istante, come se il destino avesse scelto di intervenire, un’auto si ferma accanto a loro, e Samet, costretto a mascherare la sua furia, perde l’attimo necessario: Sumru si divincola e corre verso la sua auto parcheggiata, il cuore che batte all’impazzata e le mani che tremano mentre inserisce la chiave nel cruscotto e parte, lasciandosi alle spalle il tribunale, il passato e l’uomo che ha giurato di non lasciarla mai andare.
La fuga diventa subito disperata, le strade della KPC, un tempo meraviglia per gli occhi, ora si trasformano in un labirinto ostile, tra colline ondulate, canyon e pinnacoli di tufo che sembrano pronti a schiacciarla. Samet la insegue con una furia cieca, il volto una maschera di rabbia, il volante stretto tra le mani come se potesse imprimere la sua volontà sulla strada stessa. Suona il clacson con rabbia, tenta di intimidirla, di costringerla a fermarsi, ma Sumru resiste, con le lacrime rigandole il volto non di paura ma di sfida, gridando al mondo che per anni ha subito in silenzio, ma ora non più. La sua fuga non è solo un atto di sopravvivenza, è un manifesto di indipendenza, ogni curva, ogni accelerazione, ogni battito del cuore un colpo contro l’oppressione che ha vissuto.
Poi, in un momento di terrore rallentato come in un film al rallentatore, Samet non vede la curva cieca che si avvicina, non vede il camion che sbuca dall’altra corsia: lo spazio e il tempo si dilatano fino all’inevitabile impatto. L’esplosione di metallo, vetri e plastica travolge ogni cosa, riducendo l’auto di Samet a un ammasso informe, mentre Sumru frena e osserva immobile, il cuore sospeso, le mani ancora sul volante, la mente incapace di assimilare l’orrore appena consumato davanti ai suoi occhi. Non prova gioia, né dolore, né rimorso, solo un vuoto siderale: l’uomo che ha amato e odiato, colui che le ha dato figli e tolto l’anima, giace ora inerte, vittima della propria follia.
La libertà di Sumru non è più un concetto legale sancito dal giudice, ma una realtà concreta e sanguinosa che si manifesta in quell’istante. Si volta senza guardarsi indietro, lasciandosi alle spalle il groviglio di morte, mentre il suono lacerante delle sirene si avvicina, e dentro di lei rimane la consapevolezza che ogni scelta ha un prezzo e che la vittoria, per quanto amara e macchiata di sangue, appartiene finalmente a lei. La strada davanti è ancora lunga e piena di insidie, ma per la prima volta da anni, Sumru cammina con il cuore leggero e lo sguardo fiero, padrona assoluta della propria vita e dei propri passi, consapevole che nessuno potrà più imprigionarla e che la sua storia è appena iniziata, anche se l’eco di quella tragedia resterà per sempre impressa nel suo animo.